22 maggio 2015

Alessandro Beltrame "Jel Tegermen, il mulino a vento" incontro con l'alpinista e regista ligure al Salone del libro di montagna




Alessandro Beltrame nel marzo 2015 ha scalato la vetta senza nome di quasi cinquemila metri nel Kyrgyzstan.

Beltrame al Salone del libro di montagna di Frabosa Sottana presenterà il video girato durante l'impresa dell'ascensione della vetta Jel Tegermen, il mulino a vento e illustrerà nei dettagli l'avventura straordinaria ricca di insidie.

Intervista del giornalista Giò Barbera dal quotidiano on-line www.ivg.it

Tien Shan. Tre uomini e un’avventura che entra nella storia dell’alpinismo mondiale. Rientrano a casa Alessandro Beltrame videomaker di Cairo Montenotte e i due amici cuneesi Paolo Rabbia e Marco Bernini. Per dieci giorni sono stati in cima ad una vetta a quasi 5 mila metri d’altezza che non aveva nome. Quel nome glielo hanno dato loro. Si chiama “Jel Tegermen, il mulino a vento” perché ricorda quelle tempeste di neve che hanno dovuto affrontare durante una scalata piena di insidie percorrendo la “strada dei 4 cuori”, altro nome che raggruppa più persone. “E’ un po’ un inno alla famiglia”, dice Alessandro Beltrame.
La loro avventura ricorda un po’ quelle del grande maestro Achille Compagnoni che veniva spesso a riposarsi con la famiglia nell’Imperiese. Uomo di grande forza e coraggio, quello stesso coraggio che ha alimentato l’impresa di questi tre amici che hanno concluso oggi la loro missione dando un nome a quella vetta nello sperduto Kyrgyzstan, a 50 chilometri in linea d’aria dalla Cina, lassù dove nessuno aveva mai osato andare.

E’ lo “Jel Tegermen, il mulino a vento” che cosa rappresenta per te? “Questa
montagna, che ricorda per forme e altezza il nostro Cervino, è situata nella parte centrale della catena montuosa del Tien Shan. Secondo l’agenzia Kirghisa che ha fornito il supporto logistico, si tratta della seconda spedizione di sempre in quest’area. La prima esplorazione era stata effettuata nell’inverno 2011 con gli sci da un team di cui facevano parte Giacomo Para e lo stesso Paolo Rabbia”.

Ed ecco come è nata questa avventura che di fatto entra nella storia dell’alpinismo di tutti i tempi.
“In base alle informazioni in suo possesso è stato possibile organizzare un viaggio esplorativo di soli 16 giorni, di cui 10 sulla montagna – racconta Alessandro –  A partire dall’ultimo villaggio raggiungibile in auto, l’avvicinamento è avvenuto a cavallo fino al campo base in un giorno, trasportando circa 80 kg tra materiale e cibo, quest’ultimo reperito interamente al villaggio. Il campo è stato posto su neve alla quota di 3070 metri, in corrispondenza della più alta fonte d’acqua disponibile. La zona è battuta quasi costantemente da venti oltre i 50 km/h (con punte rilevate anche di 100 km/h), da qui il nome Jel Tegermen dato alla montagna, che in lingua kirghisa significa “il mulino a vento”.
Come avete scalato quella montagna? “I successivi mille metri di quota sono stati percorsi sempre con gli sci nelle varie ricognizioni avvenute ai piedi del versante ovest della parete. Solo una volta superata la seraccata posta al fondo della valle è stato possibile individuare una linea di salita favorevole”, dice ancora Alessandro Beltrame

Come avete vissuto quei giorni e quali difficoltà avete incontrato? “Sono stati installati due depositi di materiale, uno intermedio a 3700 metri, l’altro ai piedi della parete a 4050 metri. In un primo tentativo, il giorno 25 marzo, è stata raggiunta la quota di 4450 metri, al termine del couloir di ghiaccio neve – risponde Alessandro Beltrame –  Dopo una sosta forzata di 4 giorni dovuta alle pessime condizioni meteo (vento e neve), nell’unica finestra di tempo discreto il 29 marzo abbiamo tentato la cima con partenza direttamente dal campo base. Quattro ore di salita con gli sci e successivamente altre 2 di scalata su neve e misto ci hanno condotto al punto più alto raggiunto precedentemente; da qui, nonostante il vento a raffiche in aumento, abbiamo affrontato la scalata degli ultimi 120 metri fino alla vetta. A questo punto il terreno si fa più impegnativo e ostico per via della pessima qualità della roccia e delle grandi difficoltà di protezione, il tutto sempre in condizioni di discreta esposizione. Salvo poche sezioni, tutta la scalata è stata effettuata con piccozze e ramponi sia su neve che su roccia, utilizzando sia chiodi che protezioni mobili (nuts e friends)”.


La cima è stata raggiunta alle ore 17:30 (ora locale) da Paolo Rabbia e Alessandro Beltrame. Marco Bernini ha dovuto rinunciare durante la salita per l’aggravarsi di una infezione respiratoria. Nei i primi 100 metri di discesa è stato inevitabile abbandonare le corde di calata, a causa dei forti rischi di caduta pietre. La base del couloir è stata raggiunta alle ore 20:00 con il buio. “La discesa in sci, gravati dal peso di tutto il materiale dei depositi, in una fitta nebbia, ci ha esauriti completamente. Al nostro arrivo al campo base, poco prima della mezzanotte, siamo stati accolti dall’amico Bernini, oltre che con un the caldo, con una salva dei petardi utilizzati le notti precedenti per allontanare i lupi… La via seguita, da noi gradata, TD -, è stata battezzata “4 cuori”.

Avete documentato questa spedizione? “Abbiamo provato, inoltre, a raccontare visivamente la storia di questa avventura. Portandoci appresso apparecchiature professionali per realizzare immagini fotografiche e video di alta qualità visiva ed emotiva. La sfida è stata affrontata in ambito: leggerezza, qualità, gestione dell’energia, ottimizzazione strumenti di produzione ed immediatezza. Cercando sempre di operare velocemente durante il reale svolgimento dei momenti di spedizione, cogliendo stati d’animo, condizioni meteorologiche avverse e situazioni critiche nel migliore dei modi possibili, evitando ricostruzioni non in tempo reale”.
Come potremmo definire questa avventura? “Una storia di ricerca, avventura ed esplorazione, raccontata direttamente dai protagonisti, nello stesso istante in cui la stanno vivendo. Un racconto di spedizione suddiviso in tentativi falliti, rassegnazione, convivenza forzata, entusiasmo, determinazione e fatica, con delle riflessioni a tutto campo sul coraggio dell’avventura soprattutto nel quotidiano e i suoi effetti sui giovani uomini che si mettono in gioco, quasi in controtendenza in un momento storico sempre più virtuale e basato sulle esperienze condivise di altri”.

Tanti si chiedono perché lo avete fatto. Uno stimolo a mettersi in gioco su terreni dove non servono sci, ramponi, piccozze, corde e chiodi, ma ugualmente una buona dose di curiosità, determinazione e coraggio”.